Giovanna Rotondi Terminiello
Data l’impossibilità, a causa della pandemia, di organizzare sulla scia dell’esplorazione di piazza San Giovanni il Vecchio altre visite guidate finalizzate alla scoperta delle bellezze artistiche di Genova vi proponiamo di polarizzare virtualmente la vostra attenzione su una pala rappresentante la Natività (fig. 1) che orna nella nostra città, all’interno della basilica di San Siro nella via omonima, l’altare della cappella Lomellini (fig. 2) ubicata a sinistra del transetto. Il suo autore è Cristoforo Roncalli detto il Pomarancio, un nome ai più sconosciuto: chi era e da dove veniva?
Scopriamolo insieme.
Siamo nell’anno 1606: dal 3 al 6 agosto sosta nella nostra città una comitiva di personaggi che, al seguito del marchese Vincenzo Giustiniani, sta per concludere un viaggio iniziato il 1° aprile ad Ancona e conclusosi il 14 agosto a Roma. Il viaggio era stato impegnativo per distanza e durata. Attraversate lungo il versante adriatico le regioni a nord delle Marche, toccata Venezia, superate le Alpi e percorsa da ponente a levante l’Europa centrale, il gruppo aveva raggiunto la meta prefissata, Londra. Per il ritorno, dopo una breve sosta a Parigi era stata scelta la via del mare con imbarco dalla Francia meridionale: un itinerario di navigazione alto tirrenica con breve tappa a Genova -che del Giustiniani era città di origine (era suo il palazzo allora abitato dalla suocera che, insieme alla piazza su cui affaccia, ancora oggi porta il nome della famiglia)- e conclusione a Roma, sua città di residenza nella prestigiosa magione di via della Dogana Vecchia ove, dopo l’unità d’Italia, troveranno ospitalità gli uffici del Senato. Della comitiva faceva parte in qualità di ospite proprio il Pomarancio, conoscenza recente -trasformatasi subito in amicizia- del marchese che, come prima sosta di viaggio, era andato in pellegrinaggio alla Santa Casa di Loreto e qui si era incontrato con il pittore intento a decorare ad affresco la Nuova Sala del Tesoro grazie a una committenza derivatagli dagli esiti consolidati di una formazione di matrice fiorentino-romana (il lavoro gli era stato affidato in gara con Caravaggio e Guido Reni). Della comitiva faceva parte anche Bernardo Bizoni, amico personale del Giustiniani, che compilò una relazione del viaggio in forma di diario dalla quale conosciamo tutti i particolari dell’avventura a cominciare dal fatto che per seguire il marchese -dopo un invito accettato con qualche titubanza- il Roncalli sospese a Loreto i lavori di decoro pittorico con disappunto della committenza.
Fu proprio durante il brevissimo soggiorno a Genova che Cristoforo Roncalli dovette ricevere da Giacomo Lomellini, sicuramente conosciuto attraverso Vincenzo Giustiniani, l’incarico di dipingere la Natività per ornare con essa la cappella di famiglia edificata in San Siro quale sepolcro gentilizio tra il 1597 e il 1598 -come da lapide dedicatoria- per volontà di Tommaso e Camilla Lomellini. Nell’affidamento del lavoro, materialmente eseguito dal pittore dopo il rientro a Loreto, non va sottovalutato il peso che dovette avere la figura del Giustiniani, cioè del collezionista ed intenditore d’arte più esperto del tempo la cui intermediazione non poteva che rassicurare il Lomellini sull’esito di un incarico a cui egli teneva in modo particolare per ragioni di prestigio famigliare.
Nell’opera di costruzione e arredo del manufatto architettonico la pala d’altare era l’ultimo tassello rimasto di un’operazione per il resto già quasi del tutto compiuta (come testimoniano le fonti documentarie).
Per quanto riguarda l’assetto architettonico ed ornamentale la cappella, munita di cupola ovale e illuminata da un finestrone centinato coperto in parte dal coronamento dell’altare, possiede ricchissimi decori marmorei policromi simmetricamente disposti. La mensa, sorretta da due angeli in marmo bianco scolpiti da Giuseppe Carlone -il quale creò qui una struttura portante di straordinaria eleganza che, per la sua originalità, ebbe tale fortuna da diventare fonte di ispirazione per altri altari- è impreziosita da un paliotto incrostato con ametiste, corniole, diaspro rosso e lapislazzuli ed ornato al centro da una croce di agata orientale realizzata con una pietra di pirite infissa su una pietra grezza simboleggiante il monte Calvario. Altrettanto ricco di intarsi marmorei è il gradino dell’altare mentre le basi e i capitelli delle due colonne laterali sono in bronzo ad ulteriore testimonianza della cura con cui i materiali vennero scelti per arricchire cromaticamente l’insieme e trasformare la cappella nella più “vaga” e “ricca” della chiesa.
Che il Pomarancio conoscesse il contesto d’inserimento del dipinto commissionatogli dal Lomellini è dimostrato dall’impostazione luministico-spaziale che caratterizza la scena della Natività, riecheggiante in chiave correggesca suggestioni sicuramente stimolate in lui anche da opere viste “da turista” durante i tre giorni di permanenza a Genova, come i “notturni” di Luca Cambiaso (pure Vincenzo Giustiniani ne possedeva uno, il Cristo davanti a Caifa, oggi nel museo dell’Accademia Ligustica di Belle Arti) e, per quanto riguarda il rapporto tra terra e cielo (cioè tra reale e soprannaturale), la Circoncisione di Rubens esposta da pochi mesi sopra l’altare maggiore della chiesa del Gesù.
Nella Natività di San Siro fulcro della composizione è l’immagine del Bambino il quale emana una luce divina che accarezza la Madonna, san Giuseppe e i pastori facendoli emergere dal buio delle tenebre terrene. Ad essa corrisponde in alto, oltre un diaframma di nubi, una seconda fonte luminosa che accende le vesti degli angeli e si incunea nella cortina nuvolosa, come un faro teatrale, a demarcare sul fondo la scena dell’Annuncio ai pastori. Questa luce trae origine da una sorgente soprannaturale posta al di sopra dei limiti fisici della tela, che trova corrispondenza nella luce reale irradiata nella cappella attraverso il finestrone centinato: così quest’ultimo entra indirettamente a far parte del gioco luministico e compositivo del dipinto insieme al coronamento scultoreo dell’altare i cui angeli, in controluce, svolgono nei confronti dell’adorazione del Bambino la stessa funzione assolta dagli angeli e cherubini dipinti e dai due angeli reggi mensa scolpiti: quella cioè di circondare di presenze celesti la scena della Natività, sottolineando la dimensione ultraterrena dell’evento e rendendone fantasticamente coinvolgente la visione. Nello stesso tempo le tre sorgenti luminose, due immaginarie e una reale, danno vita a suggestivi effetti di controluce, creano un’atmosfera intimisticamente raccolta e valorizzano gli accostamenti cromatici sulla scia espressiva di un gusto tardo manieristico già consolidato a Genova dalla precedente presenza di altri artisti provenienti dalla Toscana -come Benedetto Brandimarte, Pietro Sorri, Aurelio Lomi- e di un’importante pala d’altare di Federico Barocci giunta da Urbino nel 1596 ad ornamento della cappella Senarega in Duomo.